LE CRONACHE DEL TACCO
Di Giovanni Vanardi
Tortora
LIBRO I
I MAESTRI DI GILDA
1 – Incontro al Buio
X Sole IX Luna 1109 A.S.
“Rifuggi dal nero
corvino”
detto popolare
I Maestri delle Gilde non
potevano sposarsi. Nel momento in cui un membro di tali corporazioni diveniva dignitario, infatti, doveva rinunciare agli affanni del
mondo per dare tutto il proprio sapere e la propria forza al centro
di potere di quelle terre, il Palazzo Biancofiore.
Il fatto di non potersi
sposare, però, aveva da sempre portato molti Maestri, Gran Maestri e
perfino alcuni Capi Gilda a lasciare il ruolo di dignitari, mettendosi 'in sonno', per tornare agli agi o alle beghe della normale
vita del Tacco; in alcuni casi li aveva condotti perfino a figliare segretamente e
generar bastardi in ogni angolo del Granducato.
La Maestra Amanda
De' Zaffiri rifletteva su questi indegni casi di dignitari, mentre
tamburellava le sue dita su di un vecchio tavolo della Taverna del
Faro, sul porto di Barium.
“Le porto qualcosa?”
disse una grassa inserviente, o forse la padrona
stessa di quella becera locanda. “No grazie – rispose lei –
attendo un amico e probabilmente ordineremo insieme”.
“Sì – pensò – per
me un vino scadente da non bere, per lui del veleno della migliore
qualità!”. Poi rise, pensando al povero veleno destinato ad un
così poco illustre rappresentante del giglio di Biancofiore, guardando curiosa la
propria mano che continuava a tamburellare sul legno.
Succedeva spesso che un
Maestro dei Furtivi, o più correttamente della Gilda degli
Esploratori, chiedesse servigi sotto forma di intrugli ad un Maestro della sua Gilda. Ma di quel giovane lestofante del Maestro Tilion, che attendeva in quella taverna, non si fidava affatto. Aveva udito
che quell'imbroglione aveva fatto carriera poiché addestrato direttamente
dall'attuale Capo Gilda degli Esploratori, Vannar, e che fosse più
avvezzo agli intrighi che al ruolo di studio ed insegnamento dei veri
Maestri.
Questo incontro si aggiungeva ad una serie di questioni non più noiose ma pericolose, che in quei giorni le stavano occupando tempo, risorse e tranquillità.
Pensando a ciò, la sua
fronte si corrucciò, appesantendo quel suo volto dolce e pulito che
nascondeva ancora degnamente le molte primavere passate nel
Granducato.
“Che quel meschino
voglia ricattarmi? E come avrebbe fatto a carpire il mio segreto?
Maledetti loschi furtivi. Che Torvo in persona li prenda tutti!”, pensava, e la sua mano delicata, adorna di
preziosi anelli, smise di tamburellare per chiudersi in un pugno.
“Che bella dama,
posso farvi compagnia?”. Una voce, forte e pungente al contempo, la
fece quasi saltare sulla panca. Era così persa nei suoi
pensieri da non essersi accorta che di fronte a lei si era appena accomodato un rozzo guerriero, probabilmente mercenario da scialuppa, coi capelli lunghi e sporchi, la barba curata male, naso aquilino e occhi
chiari ma scavati. Quanto il sole con la luna, la carnagione colorita di lui strideva con la bianca pelle da studiosa di lei. Amanda intuì che aveva un
ennesimo disturbatore da allontanare.
“Voi non sapete con chi avete a che fare, guerriero”, disse.
“Ah non lo so? - disse
lui strafottente – Forse avete ragione, puledrina, o forse lo so
talmente bene che mi sono seduto qui di proposito... Maestra”.
Amanda abbassò gli occhi
parecchio preoccupata. “Che mi abbia seguita? - pensava
frettolosamente - O che mi abbia forse riconosciuta?
Impossibile, io non esco spesso dalla nostra torre", e alzò lo
sguardo, stringendo gli occhi e squadrando l'energumeno di fronte a
lei. "Armatura di cuoio mista a stracci. Due spade di lato. E se
avesse un pugnale con cui mi minaccia da sotto il tavolo?”.
“Smettetela di spogliarmi
con gli occhi – disse lui con un sorriso ammaliatore – non vorrei
innamorarmi di una bianca topolina, sebbene in possesso di una
prestigiosa pergamena!”.
Amanda fece un piccolo e
nervoso sorriso, poi mise una mano tra i suoi mossi capelli castani,
che le toccavano le spalle, e infine sobbalzò esclamando: “Villano,
non avrete osato chiamarmi topolina?”.
L'avventore rise di
cuore.
“Mio gentile
corteggiatore – disse Amanda, ricomponendosi sulla panca e
proferendo nel modo più cortese a lei possibile – vi ringrazio dell'apprezzamento che fate concedendomi
la vostra compagnia, in cotal sguarnita e malfidata bettola, ma
attendo un uomo molto rinomato quanto pericoloso, e non vorrei
rendere la nostra serata di conoscenza intrisa di sgradevoli
ricordi”. Quindi strinse le labbra e inarcò un sopracciglio, certa
che il messaggio fosse giunto a sua destinazione.
“Non ci voglio credere!
- disse l'uomo poggiando i gomiti sul tavolo e chiudendo a pugno una delle sue mani nerborute – credete veramente che possa
spaventarmi incontrando quello smilzo del Maestro Tilion?”.
Amanda strabuzzò gli
occhi e si guardò intorno, ancora una volta colta di sorpresa.
“Quindi quest'uomo sa addirittura del nostro incontro!”. La
Maestra deglutì, poi prese coraggio e fissando lo sconosciuto con un
sorriso più falso delle lodi di un bardo, sussurrò: “Forse è
tempo che vi offra del vino”.
“Mia madre diceva
sempre – disse lui prendendo una lunga pausa scandita dal tremolio
della candela sul tavolo – mai bere dalla coppa di una alchimista”.
“Vostra madre è saggia –
disse Amanda – ma forse ella ignora che, alla prova da Maestri, gli
alchimisti imparano a portare sempre un pugnale sotto la veste”.
L'uomo si avvicinò
lentamente alla candela, inclinò il capo e sussurrò: “Da
ex-maestro dei guerrieri non ci farei una bella figura ad esser
pugnalato da una damigella, per giunta nella mia bettola preferita.
Ma immagino a questo punto che voi non sappiate affatto chi io sia, e
tutto ciò mi sembra proprio uno scherzo da chierico, o meglio da
Tilion”.
Amanda trasalì, e questa
volta mise una mano sulla sua fronte, per reggerla. Quindi intrecciò
le sue dita, avvicinandovi il proprio naso, e infine alzò di nuovo
lo sguardo, con più onestà negli occhi. “Mi dovete scusare, di
grazia, non so con chi ho il piacere di parlare, ma immagino che voi sappiate bene chi io invece sia e chi voglia incontrare. Ho inteso male o
anche voi siete, o meglio siete stato un maestro? E, se non chiedo troppo,
perché vi trovate qui, sapendo del mio incontro?”.
“Maestra De' Zaffiri –
disse l'uomo – mi sembra inutile, tra persone intelligenti come
noi, dover tirar fuori la mia pergamena quando alla sola vista è facile riconoscerci”. Amanda si vergognò ripensando
all'accaduto, ma contemporaneamente moriva dalla voglia di vedere
quella maledettissima pergamena di questo ex-Maestro o presunto tale.
“Mi chiamo Fulvio
Filiberti, Maestro Assalitore della Gilda dei Guerrieri... in sonno,
a dire il vero, da alcune primavere, sebbene suppongo io sia più
giovane di voi. Sono qui chiamato dal Maestro Tilion per incontrarvi, assieme a lui. O almeno, questo ho saputo da uno dei suoi
adepti, che chiedeva a riguardo la massima discrezione”.
“Tipico dei Furtivi”
disse rassegnata Amanda, con il normale disprezzo con cui si utilizza
la denominazione di Furtivo nel Tacco, come sinonimo di ladro, spia,
assassino, voltagabbana, truffatore, o qualsiasi genere di persona
poco raccomandabile. “A me – continuò la Maestra – è giunto
un piccione con cui solitamente Tilion mi ordina alcuni preparati da
consegnare ai suoi gildani, ma questa volta chiedendo di vederci di
persona. Ovviamente non mi ha parlato di voi”.
“Se posso
interrompervi...” Un uomo coperto da un mantello con cappuccio nero
era al bordo del tavolo. Amanda saltò letteralmente sulla panca.
Fulvio strinse i pugni e si girò minaccioso alla sua sinistra.
“Se posso
interrompervi, signori, il Maestro Tilion vi aspetta nella cantina, e
si scusa se vi siete incontrati senza di lui”.
Questa volta, indispettito, a stringere gli occhi fu il Maestro dei
Guerrieri.
Amanda e Fulvio scesero
lentamente le oscure scale in legno, che portavano nel regno delle
muffe del Tacco, le cantine della Taverna del Faro. Amanda dovette
fermarsi a metà tragitto lungo le scale per porre un fazzoletto
sulla propria bocca, prima di erompere in una tosse strozzata.
“Pvego Pvego. - si udì dal basso - Scusate
il luogo non adatto a questo illuminato incontvo, ma avevo bisogno
della massima visevvatezza”.
I due Maestri furono pian
piano illuminati da una mezza candela posta su di un tavolino, al
centro di svariate botti e sacchi di chissà quale frumento
marcescente. Intorno al tavolino tre sgabelli malconci, e su di uno vi era una figura oscura, con una prominente maschera nera dal lungo
naso a becco.
Quel fastidiosissimo
difetto di pronuncia, quale fosse il più inutile dei nobilastri da
quattro soldi che non poteva permettersi nemmeno una erre così come
Sastria ha donato a tutti gli umani normali. Quell'atteggiamento
gradasso da re dei rubagalline, da principe degli squattrinati dei
bassifondi. Quel nasone in maschera che cela chissà quale bruttezza,
con la scusa della furtività. Giovane ed inaffidabile come pochi,
quello era Tilion, Amanda ne era certa. Prese un gran respiro per
dirgliene quattro e...
“Pvego Maestva
De' Zaffivi, - disse Tilion fendendo il silenzio e interrompendola
prima che cominciasse - e pvego amico Fulvio, vi ho chiamati pev una
questione che vi spieghevò subito, senza esitave”.
Amanda si sedette quanto più elegantemente possibile sullo sgabello, seguita dal
ben più pratico Fulvio che cavalcò il suo, poggiandosi con gli
avambracci sul tavolino.
“Sentiamo” disse
sbrigativo Fulvio.
“Sì, sentiamo! -
aggiunse stizzita Amanda – come avete osato prendermi in giro,
dandomi appuntamento assieme ad uno sconosciuto, addirittura in una
tavernaccia di quarto ordine, fino a portarmi a parlare in questo
luogo malsano?!”.
Tilion sorrise, mentre
Fulvio alzò lo sguardo assieme alle sua sopracciglia, in evidente
noia delle continue lamentele della Maestra.
“Mi deve scusave,
Maestva, - disse Tilion - ma vi sono questioni talmente delicate che
è pevicoloso pevfino che le ascoltino i vatti. Lei dovvebbe
sapevlo”. Amanda guardò in basso, convinta anche di vederne presto
uno vero, di ratto.
“Tutto ciò era ben
chiaro, Tilion, – interruppe risoluto Fulvio – ma andiamo al sodo
della questione. Dicci cosa ti serve e ti diremo subito se è
possibile o no aiutarti. Non voglio perdere tempo, né farne perdere
a te”. Amanda fu felice dell'approccio di Fulvio, soprattutto
perché l'attuale interlocutore gli sembrava al momento disgustoso
almeno quanto l'aria che stava respirando.
“Sono stato incavicato
dalla mia Gilda di una pevicolosa missione, che ha bisogno di
collabovazione di covaggiosi quanto insospettabili espevti nell'avte
della guevva e nell'avte degli avcani”. Dopo la non pronuncia di
tutte queste erre Amanda non avrebbe voluto ascoltare una
parola di più da quest'uomo.
“Si tratta di un
segreto, giusto? – disse svelta, e vedendo quindi il nasone annuire aggiunse subito –
Quindi non voglio saperlo, per non venire coinvolta senza potermi
agilmente divincolare. Caro Maestro Tilion, vi ringrazio della stima
che vi ha portato a chiedermi di aiutarvi in questa pericolosa
missione, ma devo declinare l'offerta prima di averne piena conoscenza. Voi che
fate, Maestro Fulvio, mi fate strada?”.
“No, disse Fulvio,
tutto questo mi ha incuriosito. Dopo troppi anni di bagordi voglio
svegliarmi e, come al solito, a modo mio. Rimarrò ad ascoltare cosa
il furtivo mi propone”.
“Se vi aggrada
l'olezzo... faccio da sola ordunque” e si alzò per risalire le
scale che portavano alla locanda.
“Arrivederci, mia Maestra topolina” disse Fulvio.
“Maestva, - disse
Tilion fermando Amanda nella sua salita - se sapesse su qual segveto
si vuole indagave, sono cevto che il suo gvan cuove non la favebbe
tivave indietvo. Avs Longa Vita Bvevis”.
Amanda si fermò un
attimo, dapprima per meglio comprendere il senso di quella frase,
resa da Tilion più complicata del normale, poi perché
colpita dal senso di questa. Ma oramai era stufa di questa
insolita situazione, e decise di tornare alla sua vita quotidiana di
alchimista.
Quella sera, invece,
Tilion e Fulvio rimasero a parlare a lungo.
Tutti i diritti riservati da Giovanni Tortora. Vietata la copia integrale o parziale del testo.
Prossimo Capitolo: "Cdt 1x02 - La Voce dell'Equilibrio".
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