domenica 10 settembre 2017

CdT 1x07 - L'uomo dai due volti

 7 – L'uomo dai due volti






“Meglio un cadavere in casa che un furtivo alla porta”
detto popolare


Teluna, rilasciata dagli inquisitori e riappropriatasi della sua borsa, praticamente svuotata, era stata portata all'abitazione di Lestino, Maestro di Gilda degli Esploratori. Il Maestro si mostrava come uno sgraziato vecchiotto, vestito di nero e coperto da un mantellone con delle strane pieghe irregolari.
Accanto a Lestino c'era poi un figuro ancor più grottesco. Magro e con le spalle un po' curve, il secondo uomo portava in viso una strana maschera oscura dal lungo naso che lo faceva assomigliare quasi ad un uomo cornacchia. Questi si presentò come Maestro Tilion e parlava con un difetto di pronuncia che rendeva molte delle sue frasi incomprensibili per la felinide.
“Non puoi rimaneve nelle nostve città – le aveva spiegato la 'cornacchia' –, almeno con quel tuo bel musetto. Ma se mi davai una mano in un paio di questioni, ti camuffevò e ti pevmettevò di attendeve con più tvanquillità la veva chiamata del Gvande Gatto”.
Teluna si grattò delicatamente dietro un orecchio peloso con la sua mano, per poi dichiarare distrattamente un “d'accordo” poco sentito.
Tilion sorrise, mettendo mano alla sua borsa, mentre il Maestro Lestino annuiva compiaciuto.
“L'oggetto che ti pvestevò proviene dal Gvande Gatto in pevsona, e a lui dovvà tovnave”, e porse una maschera blu alla giovane.
Teluna fu molto sorpresa di questo dono, e lo accettò solo dopo averlo analizzato e annusato accuratamente. Quando lo ebbe tra le mani, senza nemmeno chiedersi se fosse pericoloso, lo indossò lentamente coprendo il suo viso, su cui la maschera aderì come fosse divenuta d'improvviso morbida. La felinide sentì subito che qualcosa non andava. La sua vista stava cambiando, divenendo sempre più scura; la sua gola le prudeva, facendola tossire più volte; le sue mani stavano lentamente perdendo il soffice pelo ed infine sentiva la sua preziosa coda sempre più leggera, fino quasi a svanire.
Teluna guardò i due maestri stranita, con i suoi nuovi e grandi occhi dalla tonda pupilla, mentre si accarezzava con le dita il suo dolce viso da ragazza umana.
“Ah, dimenticavo, ti consiglio di non pvovave a scappave. Sono l'unico che sa come toglieve quella mascheva”.

***

Arrivarono ad Andra che era primo pomeriggio. Il sole illuminava con la sua calda luce l'antica città decaduta, un tempo sede del Conte Ofantino. 
Teluna guardava annoiata i palazzi bianchi che componevano la città. Seguiva Tilion, che per fortuna parlava poco quando era in viaggio; con loro vi era anche un adepto della Gilda che il Maestro chiamava 'Stvozzino'. Il giovane, forse della stessa età di Teluna, sorrideva spesso quando il suo mentore non lo guardava.
Quando passarono da quello che doveva essere il mercato principale della città la felinide, che aveva ancora forma umana, notò un'aria triste e fredda, senza quella gioia e quei colori di cui il mercato di Barduli brillava. “Qui la gente dorme anche di giorno”, pensò.
I tre giunsero infine all'enorme Cattedrale di Andra. Imponente e solitaria come un'aquila sul picco di un monte, essa incuteva quell'autorità che oramai il borgo non riusciva a trasmettere nelle sue altre zone.
La sua facciata era difesa da due larghe torri; su di queste vi erano numerose statue che scrutavano la piazza antistante. Sulla torre di sinistra si trattava di minacciosi guerrieri in armatura, che puntavano le proprie spade o si lanciavano in battaglia; sulla torre di destra si ergevano strani ed aberranti mostri in pietra. Lo stesso portale era difeso da due enormi statue di guerrieri, uno umano e l'altro scheletrico.
Perfino Teluna rimase affascinata dall'architettura della struttura, soprattutto della sua parte destra con le sue curiose creature, alcune delle quali con ali, artigli e lunghe code.
“Maestro Tilion – disse Strozzino – credevo fosse una cattedrale di Talos e Sastria, ma non sembra proprio così...”.
“Stvozzino, sei un cvetino”, lo apostrofò il suo maestro. “Ti avevo consigliato di non pavlave mai duvante una missione, poiché inciampi in figuve più bvutte di quanto tu non lo sia d'aspetto. Lo sai pevché? Pevché sei anche ignovante, oltve che bvutto! Questa è una delle chiese più antiche del Tacco, che da sempve ha onovato il Dio della Guevva, Talos, e quello della Movte... che è meglio non nominave qui in piazza. Questo finché il Gvanduca Avoldo non escluse il culto del Dio innominabile da quelli ufficiali. Fu allova, cento anni fa, che la Cattedvale di Andva fu riconsacvata alla Madve... ma nessuno dei chievici di Sastvia, qui giunti, ebbe il covaggio di distvuggeve quelle statue, poiché si dice possano animavsi in caso di pevicolo”.
Strozzino annuì a capo chino, mentre Teluna si guardava intorno ancor più incuriosita.
“Allova, – concluse Tilion – la vagazza vevvà con me nella cvipta. Tu, Stvozzino, favai la guavdia qui fuovi, tvanquillo e senza favti notave”.


***

All'interno dell'enorme chiesa, quel pomeriggio, non vi era nessuno a pregare. Alcuni ceri, accesi sotto le statue, indicavano comunque come essa non fosse del tutto abbandonata. Teluna aveva gli occhi fissi all'insù, mentre seguiva Tilion che procedeva spedito. L'ambiente originario era dominato da soli due colori: il rosso e il nero. Le colonne e le statue erano di marmo scarlatto o grigio-scuro; di queste tonalità erano stati realizzati anche i mosaici che rivestivano le pareti. Sebbene vi fossero numerosi arazzi azzurri con al centro la bianca croce di Sastria, evidentemente aggiunti nell'ultimo secolo, nella chiesa permaneva il senso di un'unica e perfetta simmetria che poneva di fronte, rispettivamente sulle due navate laterali, il regno della ferocia e della guerra al regno dell'eterno riposo, delle aberranti creature che affliggono le anime dei defunti. La felinide giudicava tutte le raffigurazioni curiose quanto di cattivo gusto, ma ebbe il presentimento che da lì in avanti certe considerazioni avrebbe fatto meglio a tenersele per sé: “Chi si trova a proprio agio in un luogo come questo non può essere di animo gioviale”, pensò.

In fondo alla Cattedrale, dietro un pulpito in pietra, vi era una scala che portava alla cripta. Tilion prese dalla sua borsa una candela, prima di avventurarsi sotto l'edificio. Mentre i due cominciarono a scendere, dal basso si udì il rumore di passi che salivano verso di loro, accompagnati dal rumore di un armatura metallica in movimento. Tilion e Teluna si fermarono, e videro presto comparire un guerriero dalla lunga barba scura, in armatura di maglie con spallacci in piastre nere. Questi non disse nulla, ed alzò la mano destra indicando agli ospiti di fermarsi. Il Maestro degli Esploratori mostrò una sua pergamena su cui campeggiava il giglio, simbolo delle Gilde. Il guerriero abbassò il capo e lasciò libero il passaggio. “Il santo vi aspetta nell'ala del silenzio”, egli disse con voce tranquilla, sorridendo.
In fondo alla scalinata vi erano due grandi porte. Su di una vi era l'effige di un grande elmo, sull'altro di un teschio. Tilion aprì la seconda e proseguì lungo una larga caverna ancora più angusta di ogni aspettativa della felinide: due distese di ossa ammucchiate, infatti, coprivano gran parte delle pareti laterali.
In fondo al macabro corridoio una nuova porta, questa volta costruita essa stessa di ossa. Teluna pensò che quella passione per i defunti, alla lunga, potesse seriamente annoiare, e si aspettò di trovare, oltre quell'entrata, il più grande e disgustoso cimelio da cimitero. Così non fu.
Tilion bussò tre volte, poi spinse delicatamente la porta mostrando una piccola stanza ben arredata in legno, composta da alcune librerie colme di enormi volumi, una scrivania ed un giaciglio. Al centro un essere ricurvo su sé stesso, coperto da un grande mantello.
“I miei ossequi, santissimo. - disse il furtivo - Sono lieto che abbiate vichiesto i sevvigi della mia Gilda. Il mio nome è Tilion”.
L'uomo di fronte al Maestro abbassò di scatto il cappuccio, mostrando, sopra il suo corpo, un capo con due volti, ognuno orripilante a suo modo. Quello più grande e centrale, rivolto un po' verso destra, aveva un colorito rosso e assumeva espressioni rabbiose; quello più piccolo e rivolto a sinistra, invece, era pallido e serio. A parlare per primo, con una voce acuta e stridula, fu il volto più infervorato: “Come osate mostrarvi qui, cani! Vi risparmieremo solo perché mio fratello ha atteso questo momento per lungo tempo. Ma se sarete una delusione, saremo noi stessi a stritolare i vostri deboli colli e spargere con l'inutile sangue delle vostre budella le pareti della Cattedrale!”.
Tilion rimase impassibile a quelle affermazioni, mentre Teluna guardava il mostruoso figuro con gli occhi spalancati.
Dopo alcuni interminabili secondi parlò anche il secondo volto, e la sua voce fu calma e profonda: “Benvenuti miei graditi ospiti. Potete chiamarci Padre Giano, come fanno alcuni nostri fedeli. Vi abbiamo atteso a lungo, ma la pazienza è l'arte in cui fummo allenati dalla nascita. Ci sorprendiamo solo nel vedere di fronte a noi una normale fanciulla umana, mentre avevamo richiesto il ritrovamento di una giovane felinide”.
“Ella è semplicemente camuffata, santissimo” disse il Maestro.
Giano si avvicinò a Teluna e le accarezzò con una mano il volto.
“I miei sogni sono colmi di segni e profezie che indicano la fine della nostra persecuzione, il ritorno del Dio tra i vivi. Il ritrovamento della Reliquia, che riporterà pace tra le anime vaganti di questa terra, avverrà grazie ad una giovane e minuta donna gatta, io l'ho visto”.
“Ella è già pvonta a pavtire” disse Tilion.
Quando finì, Teluna si riprese dal suo stupore e si rivolse ingenua al Maestro: “Chi deve andare dove?”.
"Andrai - rispose Giano - laddove ti porterà la mia benedizione di Torvo, fin dentro alla Cattedrale di Sastria. Non preoccuparti, ti accompagnerà il mio primo paladino".
“Invece preoccupati stolta! Non ne uscirai viva!” disse subito dopo il volto infuriato, prima di abbandonarsi in una acida risata.

***

Tre giorni dopo Teluna era a Barium, di fronte ad una Cattedrale di Sastria dolcemente illuminata dai raggi del tramonto. La felinide era accompagnata dal giovane furtivo Strozzino e da quell'uomo che Giano aveva definito il suo paladino. Questi si chiamava Uccio Grifone ed era nient'altro che quel guerriero barbuto che aveva incontrato all'ingresso della cripta, ad Andra. 
"Vi sono guardie ad ogni entrata, proprio bravi questi soldati della capitale!" aveva detto Uccio mostrando un sorriso sardonico.
"Maestro Tilion mi ha detto - interruppe Strozzino - che vi sono molti modi per entrare. Alcuni dall'alto, come le finestre della Schola o delle residenze dei canonici. Altri dal basso, tipo un'entrata sotterranea che parte da sotto le mura della città, quelle di fronte al mare. Da quanto abbiamo saputo la reliquia che cerchiamo dovrebbe essere custodita nei sotterranei, quindi credo sia meglio utilizzare l'entrata dal basso".
"Ma quante ne sapete voi furtivi. Quasi quasi mi ricredo sulla vostra utilità su questa terra! Peccato per i vostri nomi 'd'arte', sempre molto ridicoli!" disse Uccio prima di ridere di cuore.
Strozzino abbassò il capo facendo finta di non aver udito le offese del guerriero. D'altronde, se aveva imparato qualcosa dal suo Maestro, questa era la capacità di sopportare".
"Io andrei dalle finestre - disse Teluna - non ne posso più di cattivi odori e sporcizia!"
"Bene siamo un'ottima compagnia di teste quadre!" disse Uccio ridendosela ancora. "Facciamo così, tu Strozzino andrai dal basso, così ti potrai sporcare a dovere come piace a voi furtivi. Tu Teluna fai come ti pare, tanto Giano ha predetto che sarai tu a riuscire nell'impresa. Io invece entrerò nella cattedrale dall'ingresso, per pregare gli Dei... e mi muoverò subito se sentirò qualcosa che andrà storto. Se tutto andrà bene, invece, ci ritroveremo questa notte al faro, quando la luna sarà alta".
Strozzino non era molto d'accordo con questo piano ma, prima ancora che obiettasse, vide Teluna allontanarsi verso le abitazioni adiacenti alla Chiesa. "E questo lo chiami piano?" disse a Uccio sbuffando.
"Io lo chiamo: va come deve andare", disse il paladino.

Teluna si arrampicò con destrezza fino al secondo piano del palazzo dove aveva scorto una finestra aperta. Si affacciò lentamente per vedere se vi fosse qualcuno all'interno, quindi entrò con un balzo. Si trovava in una stanza molto grande, illuminata da candele. Vi erano numerosi banchi in legno, dietro i quali la ragazza si nascose non appena sentì alcuni passi indicarle che qualcuno stava entrando.
"Non vedo l'ora di provare i nuovi canti della sera!" disse un accolito ad un suo compagno. Teluna fu molto contrariata, non solo dall'aspetto asciutto e dagli abiti tristi dei due giovani, quanto dalla possibilità di doversi sorbire una serie di stupidi canti umani dedicati probabilmente alle loro divinità. Decise quindi di svignarsela quanto prima. Muovendosi a gattoni giunse vicina alla parete dove vi erano le porte. Adesso doveva provare il tutto per tutto uscendo e sperando di non trovarsi di fronte altri chierici. Si lanciò e andò a sbattere contro qualcuno o qualcosa. Si trattava di un chierico che stava entrando. Questa volta, però, si trattava di uno particolarmente alto e robusto. Finita a terra per il colpo, Teluna meditò se uscire il pugnale e farsi strada sporcando il pavimento di sangue. Poi pensò che in effetti non vi era nessun guadagno per lei in quella missione, e decise di provare a fare l'ingenua, sperando di potersela svignare da quell'impiccio o al massimo di essere cacciata dalla Cattedrale con le buone. 
"Ops, scusate, mi sono persa dopo le mie preghiere serali" disse con voce innocente. 
Il grasso chierico di fronte a lei si grattò la testa, quindi le disse: "Per giungere qui, ti sei persa molto... ma immagino più con lo spirito che con il corpo. Ti prego di seguirmi, ti porterò al nostro Vicario a cui potrai confessare i tuoi peccati".
"Un'altra chiacchierata con questi umani folli, no!" pensò Teluna. Poi si grattò il capo anche lei e rispose composta: "Vi seguirò, se poi potrò andare senza ricevere punizioni". 
"Ma certo!" disse il chierico, aiutandola ad alzarsi e portandola lungo il corridoio, tenendo la sua mano sulla sua spalla.
Salirono un altro piano, per giungere ad una grande porta in fondo ad un lungo corridoio. 
Il chierico bussò delicatamente, e attese che dall'interno ci fosse risposta. La porta si aprì mostrando un signore ben vestito, con una tunica di seta nera al cui centro era ricamata una croce a otto punte, rossa.
"Che succede, fratello?", chiese l'uomo.
"Padre Gioberto, ho trovato questa ragazza vagabondare per il palazzo. Sostiene di essersi persa.." disse il chierico corpulento alzando entrambe le sua sopracciglia.
Gioberto degli Ulivi la guardò bene in volto, quindi indicò a Teluna di entrare, dicendo "Ho bisogno di parlare a questa ragazza, solo".
"Ma Vicario, potrebbe esser pericoloso!"
"Qui fuori ci sarai tu a proteggermi, e in cielo c'è sempre la nostra Madre Sastria a vegliare su di me".
Teluna entrò svelta, sperando che questa stramba disavventura finisse il prima possibile.
Una volta accomodatasi nella grande e calda stanza del Vicario, questi si sedette alla sua scrivania, e le parlò con voce rassicurante: "Il tempo delle profezie è quello in cui gli uomini timorati degli Dei devono avere il coraggio di udire e di parlare. Ho sognato il nostro incontro due giorni fa, e attendevo la tua venuta".
"Ho capito! - pensò Teluna - fare il chierico significa dormire molto e credere a tutto quello che si sogna". Decise però di non parlare e di abbassare lo sguardo, fingendo di essere pentita per il suo misfatto, qualunque questo fosse.
"Non hai voglia di parlare, vero? Sai, non sei esattamente come ti aspettavo. Nel mio sogno avevi occhi come un gatto e lunghe orecchie ricoperte di pelo. Chissà, sarà lo spirito della natura a cui sei più vicina...".
Teluna aveva una gran voglia di dire che non solo amava i gatti, ma che lei era una felinide fiera dei suoi artigli e delle sue orecchie! Poi ripensò alla coda persa, s'intristì ed abbassò ancora il capo senza rispondere.
"Facciamo così. Non voglio sapere nulla di te o di chi ti abbia consigliato di venire qui. Credo nel volere della Dea. Ti chiederò solamente cosa stavi cercando, e ti prometto solennemente che farò in modo che tu l'abbia... qualsiasi cosa essa sia".
Questo discorso parve a Teluna particolarmente interessante. Guardò l'uomo negli occhi, cercando di aprirli il più possibile per accattivarlo con la sua ingenuità, e disse con voce timida: "Beh, io cerco... la Mano di Torvo". 
Gioberto degli Ulivi rimase fermo e pensieroso. I suoi occhi si guardarono intorno, quasi ad assicurarsi che nessuno avesse udito quelle parole, e sperò che oltre la porta il chierico non avesse origliato.
"Ecco - pensò Teluna - a parole sono tutti bravi questi umani...", sicura che adesso Gioberto avrebbe detto che proprio quella reliquia era impossibile consegnarla.
"Tu sai - disse serio Gioberto - che ciò che chiedi non può uscire così facilmente dalla nostra Cattedrale?"
"Certo - rispose tranquilla e sorridente la felinide - è per questo che sono qui, per aiutarvi a farla uscire".
"Ti spiegherò meglio. E' sotto la custodia perpetua degli inquisitori. Nemmeno io posso avvicinarmi ad essa così facilmente".
"Mi aspettavo di più dalle tue promesse, Vicario!" disse la felinide in modo impertinente.
"Hai ragione. E per espiare la mia colpa di non poterti consegnare subito ciò che ti ho promesso, ti spiegherò come e quando potrai recuperare la reliquia. Ma mai, dico mai a nessuno dovrai dire che sono stato io ad indicartelo. Faresti questo per me?".
"Certo" disse Teluna in modo convincente. D'altronde in quel momento non ricordava nemmeno il nome dell'uomo.
"Tra un mese farò in modo che la Mano del Dio sia portata al Santuario di Canusium, quello vicino alla Sorgente di Tara. Durante il viaggio sarà sicuramente protetta dagli inquisitori, ma vicino alla Sorgente potranno avvicinarsi solo i veri devoti alla dea, chierici o paladini. Lì avrai la tua vera possibilità".
"Mi costringi ad aspettare un mese, ma meglio di niente", disse Teluna, impaziente di uscire da quella stanza.



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Per leggere questo libro dal principio, segui il link al primo capitolo "Incontro al Buio".