4 – Un gatto in gabbia
“Simpatico come un
lupo”
detto popolare dei Felinidi
Teluna saltò agilmente
dal tetto della casa giù nel vicolo di Barduli, la più
importante città della Contea Ofantina, residenza del Conte Onofri.
Da quando era arrivata, pochi giorni prima, la giovane felinide, per metà donna per metà gatta, aveva racimolato più di quanto si aspettasse.
Da quando era arrivata, pochi giorni prima, la giovane felinide, per metà donna per metà gatta, aveva racimolato più di quanto si aspettasse.
Un nuovo pugnale
pregiato, alcune monete antiche d'argento, uno strano libro dalla
copertina in cuoio, che sfortunatamente non sapeva leggere. Ma tutti
oggetti lasciati talmente incustoditi, che sarebbe stato un peccato
lasciarli ai loro disattenti possessori e che trovavano miglior
custodia nella sua larga borsa legata al di sotto del suo mantello nero.
“Tutti stupidamente
umani in questa città”, pensò tra sé, mentre si affacciò ancora
sul mercato, alla fine del vicolo, “E neanche un rattide con cui
giocare”.
La felinide decise di
fare un ultimo giro mattutino per il mercato, per poi forse lasciare
quel borgo tedioso. Aveva adocchiato una bancarella di frutta fresca,
e moriva dalla voglia di metter qualcosa sotto i denti. Si avvicinò,
con il volto ben celato, passando accanto ad un grosso uomo per
sembrare suo figlio. Quando fu accanto alla bancarella, uscì
lestamente la propria mano da sotto alla cappa, agguantando un pomo
maturo.
Qualcosa però la
rallentò. Il cappuccio pareva essersi impigliato in qualche ramo.
“Un attimo - pensò - qui non ci sono alberi!”, si bloccò e
tirò fuori gli artigli della sua mano sinistra.
Dietro di lei un uomo con
un po' di pelo intorno al muso, vestito in armatura di maglie e la
tunica rossa, le teneva con la mano il cappuccio. L'uomo la guardava
con occhi che ella ritenne spiritati: le osservava pensieroso i suoi lineamenti gonfi, con il pelo grigio
striato e i lunghi baffi tipici della sua razza.
“Non si vedono spesso
code sotto i mantelli, qui a Barduli!” disse il guerriero, mentre
con uno scatto lasciò il cappuccio per prendere il collo della
ragazza gatta.
“Forse perché tutti le
hanno tagliate, sono così scomode alle volte!” disse lei, torcendo
delicatamente il volto e sfoggiando un finto sorriso. Detto questo
infilzò con i suoi artigli la mano guantata dell'uomo, che
inspiegabilmente non lasciò la presa.
“Questo dolore –
disse l'uomo a bocca stretta – ti costerà più di qualsiasi altra
cosa tu abbia fatto finora”, e mosse l'altro pugno sul capo della
felinide, facendole perdere i sensi.
***
Teluna si svegliò
rannicchiata in una piccola stanza umida, senza nulla all'interno se
non un vaso vuoto, e con la porta ben chiusa. Da una piccola fessura
su di un muro entrava un po' di luce dall'esterno.
La sua borsa, però, era
sparita e con essa tutti i suoi averi. Teluna si alzò
delicatamente e si avvicinò alla porta, per esprimere un “perfavore
aprite” che di proposito assomigliò al miagolio di un gatto
impaurito. Quindi fissò l'entrata e cominciò a sbatter
per terra la coda, impaziente nell'attesa. Delusa, si sdraiò lungo
una parete con un ginocchio alzato ed il braccio destro a sorreggerle il musino. Infine si rilassò del tutto e si
riaddormentò. A svegliarla poco più tardi, il rumore di una grande
grande chiave che girava nel chiavistello della porta.
Ad entrare nella cella fu
proprio l'umano che l'aveva colpita. Teluna fece il viso dolce,
mettendosi seduta e leccandosi una sola volta l'avambraccio, prima di
passarlo istintivamente sul suo capo.
“Quelli come te, di
solito, non girano per le nostre strade. Perché sei qui?”, disse
l'uomo.
“Beh – disse
sorridente Teluna -, sono scesa da una grossa barca e cercavo ristoro
in questo luminoso borgo”.
“Le tue vesti, il tuo
manto e la tua borsa sono macchiati e sporchi come se tu avessi
viaggiato per giorni tra i boschi. Ripeto, chi sei, e perché sei
qui?”.
“In realtà non stai ripetendo – disse Teluna stringendo gli occhi a fessura -, adesso mi
stai anche chiedendo chi sono”.
L'uomo dalla tunica rossa
si fermò un attimo, sbuffò guardando in alto, e riprese: “Comincerò
io. Mi spiace averti picchiata, non avevo inteso tu fossi una femmina
della tua specie. Detto questo, però, abbiamo trovato parecchi
oggetti recentemente scomparsi al mercato. Non che di questo mi
debba occupare io, ma lasciarti alla milizia cittadina sarà un
attimo, se non vorrai parlarmi”.
La felinide passò
gentilmente la propria mano sotto il suo mento, mentre pensava.
Quindi sorrise e disse:
“Ne ho ricevute molte di offese, ma questa per cui non sembrerei
una femmina, le batte tutte” e rimase seria a fissare il suo carceriere.
L'uomo si spazientì: “Per
l'ultima volta, dimmi come ti chiami e cosa ci fai qui a Barduli,
prima che ti accusi ufficialmente e tu venga inquisita nei nostri modi
non più gentili”.
“Ah perché, ci sono
modi meno gentili di un pugno sul capo?”.
“E va bene, l'hai
deciso ancora tu!” e l'uomo uscì dalla stanza sbattendo la porta.
Teluna sorrise e tornò a
sdraiarsi lungo la parete.
***
Una volta tramontato il
sole, Teluna cominciò ad avere una tremenda sete e il suo stomaco
cominciò ad esigere del cibo. Riusciva comunque a vedere nel buio della sua prigione grazie ad
un sottile barlume di luce che passava al di sotto della porta.
Dietro di essa, ogni
tanto, aveva sentito alcuni umani parlare. Avevano nominato l'uomo che
l'aveva colpita come “Inquisitore Laneve” o "ex-maestro", quando qualcuno, passando, chiedeva chi
ci fosse all'interno e chi l'avesse presa.
Finalmente il rumore
della grossa chiave annunciò una visita.
Entrò sempre lui, il suo
nuovo conoscente in quella città. Portava con sé un piatto
contenente una pagnotta e un otre, e nell'altra mano una candela accesa.
“Sono qui per ritrovare
un'intesa, se me lo permetterai” disse l'uomo.
“Non ho mai negato
delle risposte, solo non ho trovato aggraziate le tue domande, e
come sono state introdotte” rispose cordiale lei.
L'inquisitore lasciò il
piatto in ferro vicino alla prigioniera. “Spero che l'attuale
introduzione del nostro discorso sia più gradito”.
La ragazza gatta fissò
negli occhi l'uomo, che non gli sembrò più così antipatico. Quindi
fissò il piatto, e piano piano gli si avvicinò, prendendo prima un
sorsetto d'acqua dall'otre, e in seguito un piccolo pezzo di pane. Un po' per volta continuò a mangiare e bere per tutto il discorso che seguì.
“Mi fa piacere che tu
gradisca. Puoi chiamarmi con il mio nome, sono Lisandro. Non voglio
punirti con il digiuno, come in molti mi hanno suggerito. Sei comunque
una... ragazza, e non portavi con te nulla di empio o pericoloso”.
“È un po' ingenuo
credere che non sia pericolosa solo in quanto femmina. Molte del
mio branco sono più forti e agili di molti dei nostri maschi” disse
lei tra un boccone e l'altro.
“Mentre tu riposavi, mi
sono un po' informato, grazie anche a qualcuno che tiene a te”.
“Qualcuno che vuole
aiutarmi? Di sicuro non lo conosco, ma sarà più gentile di te”.
“È qualcuno che vuole
garantire la tua libertà e parlarti. Ma prima di incontrare
lui, dovrai soddisfare qualche mia piccola curiosità sulla tua
venuta qui a Barduli”.
“D'accordo, ma voglio sapere chi vuole aiutarmi... non mi fido”.
“E' il Maestro di Gilda
degli Esploratori stanziato qui a Barduli. Il suo nome è Lestino”.
“Mai sentito, ma che
nome orrendo, quasi da rattide. Di certo non sarà qualcuno
d'importante”.
“E invece, a suo modo,
lo è. Ed è l'unico a poter garantire il rimborso ai mercanti, senza
passare dalle prigioni della milizia”.
“Beh, mi sa che di
prigioni ne farei a meno. Alla lunga annoiano”.
“Se non vuoi dirmi il
tuo nome, non è adesso importante. Ma c'è un motivo per cui eri
nella nostra città?”.
Teluna lasciò l'ultima
parte della sua pagnotta, bevve un lungo sorso di quella strana
acqua, e si sedette accovacciata con mani in terra e le braccia tra
le ginocchia.
“Non avevo nessuna
intenzione di venire qui e rischiare la fine del topo. Ma i vostri
boschi sono alquanto strani in questo periodo, ed una lunga e bassa
nebbia del mattino ha rifiutato di dissiparsi ai raggi del sole di
mezzogiorno. Non che desse fastidio più di tanto alla vista, ma il
suo olezzo mi pungeva il naso, e alle volte usciva qualcosa di molto
sgraziato e rumoroso da cui mi toccava sempre correre. Provenendo
dalle foreste, ho provato ad uscirne, cercando un luogo dove l'olezzo
della nebbia fosse sempre più basso. E cammina cammina, dove finisce
questa strana nebbia? In una campagna desolata da cui però si
vedevano delle gran belle ville. Curati mi sa che la chiamavano. Di
lì ho deciso di muovermi ancora più lontano da quel fetore, con
l'aiuto di un carro che gentilmente mi ha accompagnato in questa
città fortificata sul mare. Ah, mi chiamo Teluna”.
Il volto di Lisandro si
corrugò pensieroso, quindi chiese: “Ricordi per caso quanto a
lungo hai vagato in questa nebbia malsana? Questi esseri che ne
uscivano erano mostruosi?”.
“Almeno tre giorni di
cammino veloce. Più che altro erano sgradevoli, come dei cadeveri che
camminano” disse Teluna con gli occhi alti nel ricordo.
Lisandro si fermò,
serissimo nella sua riflessione a riguardo. Poi continuò:
“Il tuo branco risiede
nelle Terre di Lucanìa?”
“Sì”, rispose Teluna
quasi incuriosita dal fatto di aver ancora una volta risposto all'uomo senza
nemmeno giocarci un po'.
“E chi ti ha mandato
qui?”
La felinide si morse un
labbro, cercando di non rispondere.
Poi disse “E' stato il
richiamo del Grande Gatto” e subito si mise le due mani sulla
bocca, con gli occhi sconcertati per aver rivelato il suo gran
segreto.
“Non preoccuparti,
piccola Teluna, il Maestro Lestino mi aveva preannunciato di un rito
segreto della tua razza che avviene ogni decade e che gli Esploratori
garantiscono lungo i confini. C'è invece da preoccuparsi per questa
nebbia, poiché pare esser pericolosa come poche cose abbia mai
incontrato prima nella mia vita”.
L'inquisitore prese il
piatto di ferro, e lasciò per terra la candela oramai mezza spenta.
“Domani mattina il Maestro Lestino verrà a prenderti e garantirà
lui per le tue azioni, passate e future. Sogni d'oro Teluna”.
“Lisandro – disse di
colpo la felinide interrompendo l'uscita dell'inquisitore - , ti
chiamano 'la neve' perché il tuo cuore è freddo?”.
“E' il nome della mia
famiglia. Inoltre ti chiedo perdono se ho dovuto mettere un po'
di pozione della verità nella tua acqua, ma almeno adesso potrai
andare, senza che debba interrogarti con metodi più austeri”. E chiuse
la porta dietro di sé con la grande chiave.
“Mi vendicherò anche
di questo, Inquisitore Lisandro Laneve”, pensò placida Teluna,
prima di sdraiarsi contro il muro per osservare la candela consumarsi.
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Per leggere questo libro dal principio, segui il link al primo capitolo "Incontro al Buio".