domenica 20 agosto 2017

CdT 1x04 - Un gatto in gabbia

4 – Un gatto in gabbia



Simpatico come un lupo”
detto popolare dei Felinidi


Teluna saltò agilmente dal tetto della casa giù nel vicolo di Barduli, la più importante città della Contea Ofantina, residenza del Conte Onofri.

Da quando era arrivata, pochi giorni prima, la giovane felinide, per metà donna per metà gatta, aveva racimolato più di quanto si aspettasse.
Un nuovo pugnale pregiato, alcune monete antiche d'argento, uno strano libro dalla copertina in cuoio, che sfortunatamente non sapeva leggere. Ma tutti oggetti lasciati talmente incustoditi, che sarebbe stato un peccato lasciarli ai loro disattenti possessori e che trovavano miglior custodia nella sua larga borsa legata al di sotto del suo mantello nero.
“Tutti stupidamente umani in questa città”, pensò tra sé, mentre si affacciò ancora sul mercato, alla fine del vicolo, “E neanche un rattide con cui giocare”.
La felinide decise di fare un ultimo giro mattutino per il mercato, per poi forse lasciare quel borgo tedioso. Aveva adocchiato una bancarella di frutta fresca, e moriva dalla voglia di metter qualcosa sotto i denti. Si avvicinò, con il volto ben celato, passando accanto ad un grosso uomo per sembrare suo figlio. Quando fu accanto alla bancarella, uscì lestamente la propria mano da sotto alla cappa, agguantando un pomo maturo.
Qualcosa però la rallentò. Il cappuccio pareva essersi impigliato in qualche ramo. “Un attimo - pensò - qui non ci sono alberi!”, si bloccò e tirò fuori gli artigli della sua mano sinistra.
Dietro di lei un uomo con un po' di pelo intorno al muso, vestito in armatura di maglie e la tunica rossa, le teneva con la mano il cappuccio. L'uomo la guardava con occhi che ella ritenne spiritati: le osservava pensieroso i suoi lineamenti gonfi, con il pelo grigio striato e i lunghi baffi tipici della sua razza.
“Non si vedono spesso code sotto i mantelli, qui a Barduli!” disse il guerriero, mentre con uno scatto lasciò il cappuccio per prendere il collo della ragazza gatta.
“Forse perché tutti le hanno tagliate, sono così scomode alle volte!” disse lei, torcendo delicatamente il volto e sfoggiando un finto sorriso. Detto questo infilzò con i suoi artigli la mano guantata dell'uomo, che inspiegabilmente non lasciò la presa.
“Questo dolore – disse l'uomo a bocca stretta – ti costerà più di qualsiasi altra cosa tu abbia fatto finora”, e mosse l'altro pugno sul capo della felinide, facendole perdere i sensi.

***

Teluna si svegliò rannicchiata in una piccola stanza umida, senza nulla all'interno se non un vaso vuoto, e con la porta ben chiusa. Da una piccola fessura su di un muro entrava un po' di luce dall'esterno.
La sua borsa, però, era sparita e con essa tutti i suoi averi. Teluna si alzò delicatamente e si avvicinò alla porta, per esprimere un “perfavore aprite” che di proposito assomigliò al miagolio di un gatto impaurito. Quindi fissò l'entrata e cominciò a sbatter per terra la coda, impaziente nell'attesa. Delusa, si sdraiò lungo una parete con un ginocchio alzato ed il braccio destro a sorreggerle il musino. Infine si rilassò del tutto e si riaddormentò. A svegliarla poco più tardi, il rumore di una grande grande chiave che girava nel chiavistello della porta.
Ad entrare nella cella fu proprio l'umano che l'aveva colpita. Teluna fece il viso dolce, mettendosi seduta e leccandosi una sola volta l'avambraccio, prima di passarlo istintivamente sul suo capo.
“Quelli come te, di solito, non girano per le nostre strade. Perché sei qui?”, disse l'uomo.
“Beh – disse sorridente Teluna -, sono scesa da una grossa barca e cercavo ristoro in questo luminoso borgo”.
“Le tue vesti, il tuo manto e la tua borsa sono macchiati e sporchi come se tu avessi viaggiato per giorni tra i boschi. Ripeto, chi sei, e perché sei qui?”.
“In realtà non stai ripetendo – disse Teluna stringendo gli occhi a fessura -, adesso mi stai anche chiedendo chi sono”.
L'uomo dalla tunica rossa si fermò un attimo, sbuffò guardando in alto, e riprese: “Comincerò io. Mi spiace averti picchiata, non avevo inteso tu fossi una femmina della tua specie. Detto questo, però, abbiamo trovato parecchi oggetti recentemente scomparsi al mercato. Non che di questo mi debba occupare io, ma lasciarti alla milizia cittadina sarà un attimo, se non vorrai parlarmi”.
La felinide passò gentilmente la propria mano sotto il suo mento, mentre pensava.
Quindi sorrise e disse: “Ne ho ricevute molte di offese, ma questa per cui non sembrerei una femmina, le batte tutte” e rimase seria a fissare il suo carceriere.
L'uomo si spazientì: “Per l'ultima volta, dimmi come ti chiami e cosa ci fai qui a Barduli, prima che ti accusi ufficialmente e tu venga inquisita nei nostri modi non più gentili”.
“Ah perché, ci sono modi meno gentili di un pugno sul capo?”.
“E va bene, l'hai deciso ancora tu!” e l'uomo uscì dalla stanza sbattendo la porta.
Teluna sorrise e tornò a sdraiarsi lungo la parete.

***

Una volta tramontato il sole, Teluna cominciò ad avere una tremenda sete e il suo stomaco cominciò ad esigere del cibo. Riusciva comunque a vedere nel buio della sua prigione grazie ad un sottile barlume di luce che passava al di sotto della porta.
Dietro di essa, ogni tanto, aveva sentito alcuni umani parlare. Avevano nominato l'uomo che l'aveva colpita come “Inquisitore Laneve” o "ex-maestro", quando qualcuno, passando, chiedeva chi ci fosse all'interno e chi l'avesse presa.
Finalmente il rumore della grossa chiave annunciò una visita.
Entrò sempre lui, il suo nuovo conoscente in quella città. Portava con sé un piatto contenente una pagnotta e un otre, e nell'altra mano una candela accesa.
“Sono qui per ritrovare un'intesa, se me lo permetterai” disse l'uomo.
“Non ho mai negato delle risposte, solo non ho trovato aggraziate le tue domande, e come sono state introdotte” rispose cordiale lei.
L'inquisitore lasciò il piatto in ferro vicino alla prigioniera. “Spero che l'attuale introduzione del nostro discorso sia più gradito”.
La ragazza gatta fissò negli occhi l'uomo, che non gli sembrò più così antipatico. Quindi fissò il piatto, e piano piano gli si avvicinò, prendendo prima un sorsetto d'acqua dall'otre, e in seguito un piccolo pezzo di pane. Un po' per volta continuò a mangiare e bere per tutto il discorso che seguì.
“Mi fa piacere che tu gradisca. Puoi chiamarmi con il mio nome, sono Lisandro. Non voglio punirti con il digiuno, come in molti mi hanno suggerito. Sei comunque una... ragazza, e non portavi con te nulla di empio o pericoloso”.
“È un po' ingenuo credere che non sia pericolosa solo in quanto femmina. Molte del mio branco sono più forti e agili di molti dei nostri maschi” disse lei tra un boccone e l'altro.
“Mentre tu riposavi, mi sono un po' informato, grazie anche a qualcuno che tiene a te”.
“Qualcuno che vuole aiutarmi? Di sicuro non lo conosco, ma sarà più gentile di te”.
“È qualcuno che vuole garantire la tua libertà e parlarti. Ma prima di incontrare lui, dovrai soddisfare qualche mia piccola curiosità sulla tua venuta qui a Barduli”.
“D'accordo, ma voglio sapere chi vuole aiutarmi... non mi fido”.
“E' il Maestro di Gilda degli Esploratori stanziato qui a Barduli. Il suo nome è Lestino”.
“Mai sentito, ma che nome orrendo, quasi da rattide. Di certo non sarà qualcuno d'importante”.
“E invece, a suo modo, lo è. Ed è l'unico a poter garantire il rimborso ai mercanti, senza passare dalle prigioni della milizia”.
“Beh, mi sa che di prigioni ne farei a meno. Alla lunga annoiano”.
“Se non vuoi dirmi il tuo nome, non è adesso importante. Ma c'è un motivo per cui eri nella nostra città?”.
Teluna lasciò l'ultima parte della sua pagnotta, bevve un lungo sorso di quella strana acqua, e si sedette accovacciata con mani in terra e le braccia tra le ginocchia.
“Non avevo nessuna intenzione di venire qui e rischiare la fine del topo. Ma i vostri boschi sono alquanto strani in questo periodo, ed una lunga e bassa nebbia del mattino ha rifiutato di dissiparsi ai raggi del sole di mezzogiorno. Non che desse fastidio più di tanto alla vista, ma il suo olezzo mi pungeva il naso, e alle volte usciva qualcosa di molto sgraziato e rumoroso da cui mi toccava sempre correre. Provenendo dalle foreste, ho provato ad uscirne, cercando un luogo dove l'olezzo della nebbia fosse sempre più basso. E cammina cammina, dove finisce questa strana nebbia? In una campagna desolata da cui però si vedevano delle gran belle ville. Curati mi sa che la chiamavano. Di lì ho deciso di muovermi ancora più lontano da quel fetore, con l'aiuto di un carro che gentilmente mi ha accompagnato in questa città fortificata sul mare. Ah, mi chiamo Teluna”.
Il volto di Lisandro si corrugò pensieroso, quindi chiese: “Ricordi per caso quanto a lungo hai vagato in questa nebbia malsana? Questi esseri che ne uscivano erano mostruosi?”.
“Almeno tre giorni di cammino veloce. Più che altro erano sgradevoli, come dei cadeveri che camminano” disse Teluna con gli occhi alti nel ricordo.
Lisandro si fermò, serissimo nella sua riflessione a riguardo. Poi continuò:
“Il tuo branco risiede nelle Terre di Lucanìa?”
“Sì”, rispose Teluna quasi incuriosita dal fatto di aver ancora una volta risposto all'uomo senza nemmeno giocarci un po'.
“E chi ti ha mandato qui?”
La felinide si morse un labbro, cercando di non rispondere.
Poi disse “E' stato il richiamo del Grande Gatto” e subito si mise le due mani sulla bocca, con gli occhi sconcertati per aver rivelato il suo gran segreto.
“Non preoccuparti, piccola Teluna, il Maestro Lestino mi aveva preannunciato di un rito segreto della tua razza che avviene ogni decade e che gli Esploratori garantiscono lungo i confini. C'è invece da preoccuparsi per questa nebbia, poiché pare esser pericolosa come poche cose abbia mai incontrato prima nella mia vita”.
L'inquisitore prese il piatto di ferro, e lasciò per terra la candela oramai mezza spenta. “Domani mattina il Maestro Lestino verrà a prenderti e garantirà lui per le tue azioni, passate e future. Sogni d'oro Teluna”.
“Lisandro – disse di colpo la felinide interrompendo l'uscita dell'inquisitore - , ti chiamano 'la neve' perché il tuo cuore è freddo?”.
“E' il nome della mia famiglia. Inoltre ti chiedo perdono se ho dovuto mettere un po' di pozione della verità nella tua acqua, ma almeno adesso potrai andare, senza che debba interrogarti con metodi  più austeri”. E chiuse la porta dietro di sé con la grande chiave.

“Mi vendicherò anche di questo, Inquisitore Lisandro Laneve”, pensò placida Teluna, prima di sdraiarsi contro il muro per osservare la candela consumarsi.


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Per leggere questo libro dal principio, segui il link al primo capitolo "Incontro al Buio".