domenica 13 agosto 2017

CdT 1x03 - I Minda Lamina

3 – I Minda Lamina


“Ars Longa, Vita Brevis”
motto delle Gilde del Tacco


Le tre torri del Palazzo Biancofiore erano occupate dai sei Gran Maestri della Gilda dei Maghi, detti Arcimaghi, e dal Capogilda della stessa, nonché Primo Consigliere del Granduca.
I piani più bassi della torre orientale erano destinati all'Arcimago Verde, quelli di mezzo all'Arcimago Viola, e quelli più alti all'Arcimago Bianco.
Nella sala grande dei piani superiori della torre, erano stati convocati una decina tra Gildani e Maestri. Erano seduti ad un grande tavolo in noce al cui capo vi era Temistio Basalto, attuale Arcimago Bianco. Il volto del Gran maestro era coperto da una maschera in ceramica, anonima quanto candida.


Al concilio era stata chiamata anche Clelia Ametista, giovane maga dai corti capelli neri e dalla lunga veste viola, orlata con piccole rune argentee. Clelia riconobbe, tra i Maestri, i tre più rinomati ritualisti al servizio di Temistio. Tra questi vi era Ferdonte, suo principale punto di riferimento in Gilda. Il fatto che ella fosse stata convocata, dunque, non poteva che significare la preparazione di un circolo rituale. Strano però che non vi fossero Maestri o Gildani riconducibili ad altri Gran Maestri. Quest'ultima constatazione, però, la maga la tenne stretta per sé.


L'incarico affidato da Temistio era quanto di più rischioso o segreto una normale maga come Clelia avesse mai intrapreso, o almeno così ella pensò dopo che ne ebbe i primi ragguagli. L'indomani tre Maestri, seguiti da otto Gildani contributori, sarebbero partiti su due carrozze, portando con sé il necessario per una missione di alcuni giorni, nonché tutti i propri catalizzatori e tutto il necessario per contribuire con ognuna delle proprie arti magiche dominate, anche quelle più pericolose o segrete. Prima della partenza, però, a tutti sarebbe stato vietato parlare con estranei alla missione o uscire dalla Torre, dove ognuno di loro avrebbe facilmente trovato tutto ciò che gli sarebbe servito. Il Rituale sarebbe stato condotto nella Contea Ofantina, la prima a nord della capitale Barium e del suo feudo.

Chiusa nella sua stanza della Torre, Clelia alzò la manica destra della sua veste ed accarezzò il piccolo serpente nero marchiato sulla sua pelle. Quel serpente che lo stesso Maestro Ferdonte gli aveva impresso in gran segreto con un rituale minore, e che rendeva più chiara l'espressione “anche quelle più pericolose o segrete”, pronunciata dall'Arcimago. “Che i partecipanti a questa delicata missione fossero tutti Ritualisti Oscuri e Maghi Oscuri?”, ella si domandava.
“Le vesti bianche – diceva sovente sua madre – s'infangano con più facilità”. Era per questo che aveva scelto di aprirsi anche alle Arti Oscure e proibite della corruzione del corpo: per comprenderle e dominarle, senza pregiudizio e senza imposizione di alcuno, senza corruzione del suo spirito e del suo operato.
Il suo percorso, però, stava prendendo una strada imprevista con un'implicazione che non le piaceva affatto: non esser padrona della sua magia.


***


Nel suo viaggio, Clelia era in compagnia di due giovani da lei inquadrati quali “maghetti neogildati”, e di due dei tre Maestri coinvolti; di questi, uno era proprio il canuto Ferdonte.
Non appena saliti in carrozza, i Maestri proferirono, uno alla volta e con mano alta stretta nel proprio oggetto arcano, la formula “Nulla si cela al tessitore della Trama”, quella dell'incantesimo che permetteva d'individuare qualsiasi oggetto o materiale intriso di magia.  “Almeno non dovrò mostrare di fronte a questi due sconosciuti i miei catalizzatori e gli elementi per la mia contribuzione”, pensò Clelia, arricciando il naso. Portava infatti con sé non solo i suoi bracciali dell'Arcano Splendore e alcuni sacchetti della cosiddetta “polvere di stelle”, ma anche la sua spilla d'argento scuro a forma di serpente, alcune spine di rosa scarlatta e il dente incisivo di un gatto nero.
I due Maestri annuirono, poi lo stesso Ferdonte disse: “A trenta miglia da qui svolteremo per un bosco tra Vigiliae e Rubis che pare essere il più consono al nostro scopo, quale ricettacolo di un grande potere. La nostra missione è quella di attivare un circolo costruito su cinque pietre magiche ritrovate dalla nostra Gilda, i Minda Lamina. Immagino che nessuno di voi abbia mai letto o sentito di queste pietre e di una pratica di questo genere, così come nuove sono apparse a noi Maestri. A garantire questo rituale, però, è l'Arcimago Bianco in persona, e da lui abbiamo potuto imparare i passi necessari a creare qualcosa di eccelso per la sicurezza del nostro Granducato”.
Mentre Ferdonte finiva di parlare, l'altro Maestro prese alcune pergamene e le passò ai tre maghi in viaggio con loro. Una sola pagina per Clelia, le molte restanti divise tra i due giovani maghi. “Bene – continuò il Maestro -, per te, Clelia, questi sono i passi necessari per la tua contribuzione. E questi, cari Adinolfo e Vetrurio, sono i riti necessari per incanalare il potere in un Minda Lamina. Voi sarete a due dei cinque vertici del Rituale, io ne sarò il Conduttore”.
La maga stava analizzando le istruzioni del suo vecchio maestro già dalle sue prime parole. “Se saremo nella Contea Ofantina – rifletteva in un vortice di pensieri, man mano che il discorso proseguiva -, perché non provare a ritualizzare direttamente nel Castello Ottagonale, abbandonato da secoli e indicato in molti manoscritti come fulcro di Trame di Magia Oscura?
Cinque pietre magiche chiamate Minda Lamina... mai sentite, ma sembra un nome elfico. Ci saranno elfi di Quet Ràva sul posto? E perché non dovrebbero coadiuvare o contribuire se fosse un loro potere o nel loro interesse? Ah sì, Quet Ràva non aiuterebbe di certo se si trattasse di Magia Oscura. Ma allora il nome elfico?
Cosa ne faremo poi delle pietre? Le metteremo a terra come ingredienti invece di usarli incastonati nei nostri catalizzatori? Non vedo questa grande novità in questo rituale, ma se lo organizza Temistio, almeno servirà a 'garantire la sicurezza'. Di cosa poi, mi sa che è vietato chiederlo o solo supporlo”.
Quando infine i Maestri distribuirono le pergamene e spiegarono i ruoli, Clelia rimase esternamente calma, con forse un po' di rossore sul viso. Dentro invece ribolliva la sua rabbia e la sua indignazione, che le fece sorpassare la gran voglia che prima aveva di scappar da questa missione. Pensieri furibondi vorticavano nel suo animo: “Come osa il mio stesso Maestro farmi questo? Umiliarmi di fronte a due ragazzetti! Chi dovrebbe fare un rituale così serio e pericoloso sono io, per tutto quello che ho dato alla Gilda, da quando ne sono stata nominata semplice apprendista! Cos'è, una forma di punizione per qualcosa che ho mancato nei suoi confronti? Cosa voleva, baci invece di compagnia? È così che si diviene Maestra in questa Gilda? E tu, Ferdonte dei miei stivali, chi hai dovuto baciare, lo stesso Temistio?”.
Nel frattempo i due maghi a lei vicini, ingordi di sapere, già studiavano le pergamene ricevute, mentre Clelia fissava muta la propria, senza leggerla veramente.
“Cara – disse Ferdonte, riportando la mente della maga nella carrozza – come starai già leggendo, il tuo ruolo sarà quello di fissare il prodigio imposto su di un Minda Lamina, e nel tuo caso sull'ultimo. È un compito breve e semplice, ma il più importante tra quello di tutti i contributori, poiché potrà, nella sua forza, riallineare alcune sbavature e permettermi di chiudere il Rituale nella maniera opportuna”.
Clelia alzò lo sguardo e disse decisa: “Dovrebbe essere qualcun altro a fissare il mio, di contributo!”.
“Certo – rispose il Maestro, senza mezzi termini -, se tu estendessi il tuo Marchio prima del Rituale, cosa per cui non possiamo permetterci uno spreco di potere e l'attesa della sua pratica, nel caso sopravvivessi”.
Clelia annuì imbarazzata, lesse la pergamena dove scoprì che il suo contributo sarebbe stato semplicemente d'Arte Magica Arcana, e rimase gran parte del viaggio a leggere altro, soprattutto dal suo grimorio.


***


“Il Mago ha esitato e balbettato due volte! Stupido! Stupido incapace!”. Nel buio della notte, coperta dalle fronde degli alberi sopra di loro ed illuminata dai dieci lumi alle spalle di ognuno dei facenti parte del Rituale, Clelia dovette mordersi il labbro per non esternare tutto il suo disappunto, tutto il suo sgomento.
Il rito fino ad allora era proceduto nel migliore dei modi. Quattro dei cinque Minda Lamina erano stati incantati senza alcuna esitazione, trasformando quelle strane sfere di pietra in globi neri di pura oscurità.
La pietra del suo “maghetto”, però, non stava cambiando, non perdeva il manto roccioso per mostrare un grigiore scuro, che lei avrebbe dovuto rendere nero più della pece, così come successo precedentemente alle altre. Ai piedi del mago, invece, vi era ancora una semplice pietra sferica, non più grande di mezzo pollice.
Clelia percepiva la tensione tra i Ritualisti. Ma nessuno osava muoversi o intervenire. Forze indomabili erano pronte a sprigionarsi all'interruzione del Rito, forse più grandi di quanto sarebbero scaturite realizzandolo impropriamente.
“Sono qui per questo, forse... Ma non sarebbe mai avvenuto se fossi stata io ad incanalare il Minda Lamina, mai!” pensava, mentre il tempo del proprio intervento si avvicinava inesorabilmente.
Cosa fare? Procedere normalmente come se nulla fosse, sperando che il solo fissante arcano bastasse per rievocare un ancestrale potere oscuro? Inutile quanto cantilenare una formula magica senza catalizzatore. Che fare dunque? Improvvisare? Non del tutto comunque: Clelia non avrebbe dovuto improvvisare più di tanto, avendo già udito ben quattro volte il procedimento.
“Sì – internamente prese la sua decisione -, ce la posso fare, ce la farò!”. Clelia impugnò nella mano destra il suo piccolo serpente d'argento scuro, e si preparò ad infondere tutto il suo potere nella pietra.
Quando cominciò, litanizzando la sua formula scura, sentì su di lei gli occhi di tutti i presenti. Non se ne curò. Continuò a litanizzare, con il catalizzatore in avanti e variando la formula di una parola ogni tre ripetizioni della stessa. Una pratica di slittamento di senso che conosceva bene fino al quinto mutamento, ma che adesso avrebbe dovuto portare a dieci passaggi. Clelia prese un grande respiro. La sua litanizzazione proseguì:


da “Tesse potente l'aracne, intrisa di oscuro veleno”
a “Tesse potente l'aracne, foriera di oscuro veleno”
“Danza potente l'aracne, foriera di oscuro veleno”
“Danza potente la serpe, foriera di oscuro veleno”
“Danza potente la serpe, foriera di oscuro mistero”
“Danza feroce la serpe, foriera di oscuro mistero”


Qui Clelia ebbe un sussulto.. la sua formula era formata da solo sei parole principali mutabili, e non aveva intenzione di cambiare il termine “oscuro”.. forse la limitatezza della sua formula era un primo motivo del fatto che ella non fosse all'altezza dell'incantamento! Ma doveva procedere, e decise di rimutare le parole già cambiate. Doveva farlo solo altre tre volte, d'altronde. Decise quindi di non fermarsi:


“Morde feroce la serpe, foriera di oscuro mistero”
“Morde feroce la morte, foriera di oscuro mistero”
“Morde feroce la morte, foriera di oscuro volere”


Clelia alzò il pugno dove chiudeva il piccolo serpente, lanciò sul terreno cinque spine di rosa scarlatta, pungendosi ogni volta, e inghiottì il dente di gatto nero. Quindi chiuse gli occhi, mosse due passi in direzione del Minda Lamina posto sul terreno e si abbassò portando con fermezza il proprio catalizzatore direttamente sulla pietra. Aprì gli occhi e vide che era divenuto nero come tutti gli altri.
Ma non fece in tempo a mostrare il suo sorriso compiaciuto, che una strana forza la attrasse al centro del cerchio. Il suo piede era entrato all'interno del circolo, muovendosi alla cieca sulla posizione del “maghetto”, e adesso vedeva gli occhi sgranati di tutti i Ritualisti, soprattutto quello del suo Maestro Ferdonte, mentre una leggera nebbiolina si alzava intorno a loro e l'incubo più orrendo per un mago oscuro diveniva reale quanto atroce. Le carni degli altri ritualisti, accompagnate da terribili urla di sofferenza, furono prima lentamente scarnificate e poi bruciate da una forza oscura come quella del marchio. Pian piano, tra le urla lancinanti dei coinvolti, il potere malefico mangiò tutto ciò che trovò di vivo, fino a lasciare lo scheletro ancora in piedi degli astanti ed infine solo cenere che cadde sulla terra, persa nella bassa nebbia. Clelia intanto perse pian piano i sensi, e si sentì trascinare all'interno di uno stagno buio.


***

Quando la maga aprì gli occhi, vide la luce del giorno fendere la leggera nebbia che la circondava  e che ora si estendeva, bassa e macabra, per tutto il bosco. Non riconosceva il suo luogo attuale come quello del rituale, la testa le era molto pesante, ma ancor più le doleva il braccio, dove sentiva pulsare qualcosa di molto più grande del suo normale marchio.
A sorreggerla, poi, c'era un uomo robusto dai capelli lunghi, gli occhi chiari e i tratti spigolosi.


“Mi chiamo Fulvio... Cosa diavolo sta succedendo qui?” le disse il guerriero, mentre dal terreno si ergevano alcuni cadaveri.





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Prossimo Capitolo:  "CdT 1x04 - Un gatto in gabbia".

Per leggere questo libro dal principio, segui il link al primo capitolo "Incontro al Buio".